Architettura, Urbanistica e Design (1924-1973)

op. 153-2 – Progetto della sistemazione di via Roma a Bologna, seconda soluzione, 1937-38, con Nino Bertocchi, Arnaldo Massimo Degli Innocenti, Gian Luigi Giordani, Alberto Legnani, Marcello Piacentini, Aldo Pini, Mario Pucci, Gagliano Rabbi, Giorgio Ramponi, Alfio Susini e Annibale Vitellozzi

opera 153-2

Progetto della sistemazione di via Roma a Bologna, seconda soluzione, 1937-38, con Nino Bertocchi, Arnaldo Massimo Degli Innocenti, Gian Luigi Giordani, Alberto Legnani, Marcello Piacentini, Aldo Pini, Mario Pucci, Gagliano Rabbi, Giorgio Ramponi, Alfio Susini e Annibale Vitellozzi

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Dopo l’apertura di via Indipendenza realizzata nel 1888 per collegare in linea retta la zona della stazione con la piazza del Nettuno, nel piano regolatore della città dell’anno successivo vengono previsti sventramenti per creare un altro percorso nord-sud parallelo al precedente e pensato per mettere in diretta comunicazione la stazione con piazza Malpighi. È il fascismo ad attribuirsi, una quarantina d’anni dopo, il compito di aprire il nuovo rettifilo, allora denominato via Roma e ribattezzato dopo la Liberazione via Marconi. Poiché ciò finisce inevitabilmente per aggravare le condizioni della circolazione, si afferma l’opinione che si debbano aprire dei varchi nel punto in cui il nuovo rettifilo si salda con piazza Malpighi. Ma fare largo al traffico in quel crocevia significa mettere in discussione l’intera raggiera delle strade che vi convergono: cioè l’asse centrale est-ovest costituito dalle vie Rizzoli e Bassi, la lunga piazza Malpighi, importante collettore delle penetrazioni provenienti dalle tre porte sud-occidentali, e, ancora, la via del Pratello, la via S. Felice, storico ingresso della via Emilia da nord-ovest, e la via delle Lame. La difficoltà del tema, aggravata dal fiorire di «polemiche, studi, proposte, progetti» (Civico, 1937, p. 284), convince la podesteria bolognese a indire nel novembre 1936 un concorso nazionale con scadenza ravvicinata (il 15 febbraio dell’anno dopo) e ad affidare all’autorità di Marcello Piacentini la presidenza della giuria, nella quale, con i soliti funzionari comunali e l’immancabile rappresentante della proprietà edilizia, sono presenti anche Melchiorre Bega e Giuseppe Vaccaro. Sui 19 gruppi concorrenti ne vengono scelti tre, premiati con il primo posto ex aequo, mentre una seconda terna è ritenuta meritevole di segnalazione. «K. 12» (A.M. Degli Innocenti), «Felsina 1937» (A. Pini, G. Rabbi, A. Susini, A. Vittellozzi) e «Porta Stiera 6» (N. Bertocchi, P. Bottoni, G.L. Giordani, A. Legnani, M. Pucci, G. Ramponi) – questi i tre progetti premiati – mostrano di condividere in pieno, come tutti gli altri 16, l’idea che i problemi del traffico si risolvano con gli sventramenti. In tal modo, più o meno consapevolmente, i progettisti aderiscono a un più ampio disegno strategico che, in particolare tra le due guerre, tramite la falsa oggettività degli interventi viabilistici, punta a rivoluzionare i valori immobiliari delle città italiane e con essi la topografia sociale, vale a dire la collocazione e i rapporti dei diversi ceti tra loro e con la città. Quando poi l’argomento del traffico non è sufficiente, si può ricorrere ai temi cari all’urbanistica ottocentesca: l’igiene e il decoro. È appunto quello che si verifica anche a Bologna, dove un ruolo di sfondamento è assunto dalla stampa quotidiana, che conduce una intensa campagna a favore degli interventi di sventramento, risanamento, diradamento, sfollamento ecc. A essere preso di mira, oltre al crocevia oggetto del bando, è il lato orientale di via Roma, la cui ricostruzione è caldeggiata prima e dopo la chiusura del concorso. Ancora il 15 febbraio 1940, di fronte ai ritardi della podesteria, si poteva leggere sul «Corriere Padano»: «Questa arteria modernissima si presenta, attualmente, con una duplice fisionomia: da un lato, ad occidente, è costituita da una siepe di palazzi grandiosi, pseudo-razionali che sfoggiano, se non architettoniche bellezze, almeno la mole dei sei, sette, otto, nove piani. Dall’altro lato è ancora limitata da casupole a un piano, due al massimo, superstiti bicocche della Bologna ottocentesca, tutte a portici puntellati e storti, a finestrine grandi come un fazzoletto, a facciate scrostate e screpolate. Per il lato ovest si è fatto presto (forse troppo presto); per il lato est si è fatto un po’ tardi […]». Responsabilità di primissimo piano ha però anche la cultura professionale che, oltre a privilegiare gli sventramenti quale unica medicina efficace per i mali del traffico, propone proprio la sostituzione radicale del lato est di via Roma. È questa infatti la scelta prospettata dalla gran parte dei 19 gruppi concorrenti e in particolare dai vincitori, che dunque si spingono più in là delle stesse richieste del bando; ma ciò corrisponde anche agli intenti della podesteria, la quale, caso raro, affida il compito di predisporre il progetto definitivo a una commissione composta da tutti gli 11 componenti dei tre gruppi premiati, ponendo come condizione che si attenessero alle «direttive di S.E. l’Arch. Marcello Piacentini», chiamato a fare da presidente. Contro ogni previsione (date le notevoli differenze dei progetti iniziali), la commissione perviene nel corso del 1938 alla formulazione di un’unica proposta unanimemente sottoscritta che ripropone gli orientamenti del progetto «Porta Stiera 6», portando anzi alle estreme conseguenze sia l’idea del quartiere giardino sia la proposta dell’apertura di una nuova strada est-ovest parallela alla via Ugo Bassi. Ma le difficoltà incontrate da un simile progetto, che avrebbe comportato una forte concentrazione di investimenti e vaste distruzioni, convincono il podestà, evidentemente pressato dalla proprietà edilizia, a operare un clamoroso cambiamento di rotta. Nel novembre del 1939 viene nominata alla chetichella una commissione di tecnici – a detta di A. Pica (21.2.1940) del tutto incompetenti – che in un solo mese redige una proposta in cui la ricostruzione del fronte orientale di via Roma è affidata a tipi edilizi più tradizionali, e in cui – fatto sicuramente positivo – si escludono gli altri impegnativi sventramenti previsti dalla commissione Piacentini. Nemmeno l’accettazione della supervisione dell’accademico Piacentini consente dunque che venga assunto ufficialmente un progetto di rilevanti proporzioni che gli autori e la critica coeva giudicano esemplare circa i modi di intervento nei centri storici. La caduta del progetto non è però un fatto che possa suscitare rimpianti. Si può discutere se l’intervento prefigurato per il lato est di via Roma nel progetto del 1938 sia da considerare più accettabile della anonima e banale edilizia realizzata al suo posto; si può anche mettere sui due piatti della bilancia, da una parte, l’intransigente indisponibilità all’imitazione dell’antico e l’invenzione tipologica e, dall’altra, il compromissorio camuffamento degli edifici a blocco chiuso costruiti nel dopoguerra. Ma una simile comparazione non può essere fatta senza esprimere un giudizio critico sul piano storico circa la effettiva necessità di un intervento di radicale sostituzione in quella parte del tessuto urbano: cosa che non possiamo affatto dare per scontata, né sul terreno della reale consistenza edilizia delle cosiddette «catapecchie» poi demolite, né sul terreno degli equilibri compositivi che, secondo un’opinione diffusa, sarebbe stato necessario ristabilire a seguito degli scempi perpetrati sul lato ovest. Per non dire della proposta di aprire un rettifilo est-ovest parallelo all’asse Bassi-Rizzoli, che avrebbe ripetuto l’errore compiuto con la realizzazione della via Roma. In ogni caso, la sordità verso i valori urbani è talmente evidente sia nel progetto del 1938 sia nelle realizzazioni completate nel dopoguerra che il confronto perde molto del suo interesse. D’altro canto è indubbio che tanto il progetto del 1938, quanto quello successivo costituiscano dei prodotti emblematici di un atteggiamento nei confronti della città storica largamente diffuso fra i razionalisti e che, anche solo per questo, meritino attenzione. È significativo a questo proposito che gli autori del progetto «Porta Stiera 6» abbiano presentato al concorso una seconda soluzione per la riedificazione del lato orientale di via Roma; una soluzione che gli stessi progettisti consideravano meno innovativa e meno aderente allo spirito della nuova architettura, tanto che nel secondo progetto non verrà ripresa. La soluzione prevedeva la dislocazione a fianco della via Roma di tre lunghi fabbricati a cortile aperto, cioè schermati sui lati minori da terrazze. Nonostante l’altezza elevata, 27 metri più un piano arretrato, questa proposta avrebbe prodotto sul paesaggio urbano minori guasti dell’altra denominata «a quartiere giardino». È invece a quest’ultima che guardano con più interesse, oltre che gli autori, la critica e la stampa quotidiana. La prima soluzione sembra addirittura prodotta per dimostrare i vantaggi della seconda. L’introduzione dei tipi edilizi a torre, alti 60 metri, consente infatti di ottenere un minore ingombro del suolo e quindi di dar vita a un’opera che gli autori definiscono «di altissima finalità sociale, se si pensa che in un raggio di 750 metri attorno all’imbocco della via Roma non esistono zone verdi destinate allo svago e al riposo dei cittadini del quartiere» (Bertocchi e altri, 1937, p. 53). Le case a torre, inoltre, «sono state studiate in modo da essere perfettamente soleggiate e da avere i servizi tutti invisibili all’esterno, su corti laterali al corpo centrale e aperte, e schermate da terrazze» (ivi, p. 54). Se nel progetto del 1936-37 sono previste tre torri, queste diventano quattro in quello del 1938 che estende l’intervento di ricostruzione più a nord; in entrambe le soluzioni viene invece mantenuto fisso il lungo corpo a due piani ritmato da interruzioni in corrispondenza delle case alte. È evidente la funzione di questo edificio porticato cui è affidato il compito sia di mediare fra l’edilizia aperta e quella chiusa sia di ricostruire l’unità della strada corridoio, in rapporto alla quale le torri sono chiamate a scandire ritmicamente il percorso (con una maggiore efficacia a questo riguardo nella soluzione a quattro torri). Si tratta dunque di una proposta tipicamente lecorbusieriana adattata alla particolarità del contesto. I progettisti del resto, sulle orme del maestro d’oltralpe, non mancano di sottolineare come, su una superficie totale di 16.520 mq, la soluzione a torri consenta di conquistare «un’area destinata a giardino e strade esclusivamente pedonali per un totale di mq 11.970» (ivi, p. 53). Il compito di eliminare il tessuto storico, poco più in là riservato alla viabilità, è qui affidato al giardino, indicato come imprescindibile esigenza funzionale e biologica. Su questa base l’architettura razionale può ingaggiare uno scontro con la città storica per insediarvi il proprio ordine. Si salvano, è vero, singole emergenze monumentali, ma, per quanto riguarda il resto del tessuto antico, l’innesto di nuove modalità aggregative basate su tipi edilizi aperti – in sé anche interessanti – è visto, lo sottolineano anche E. Grisanti e A. Pracchi (1982, p. 24), come l’inizio di una trasformazione destinata, nella visione dei progettisti, a coinvolgere l’intero quadro urbano. Per quanto riguarda poi la soluzione del problema posto dal bando, vale a dire la sistemazione dell’imbocco di via Roma in piazza Malpighi al fine di rendere fluida e ordinata la circolazione, tanto il progetto «Porta Stiera 6» che quello della commissione Piacentini propongono ampi sventramenti, nell’illusione che lo sdoppiamento del crocevia e la creazione di un percorso di alleggerimento rispetto all’asse Ugo Bassi – S. Felice (via quest’ultima giudicata «intangibile») possano avere esiti risolutivi. Ma, se l’intervento distruttivo è motivato da aride ragioni funzionalistiche, quello ricostruttivo imbocca la strada non meno insidiosa del monumentalismo. Si intende infatti impiantare sul crocevia un polo funzionale e monumentale volto a bilanciare quello di Piazza Maggiore. Individuato nella piazza il luogo rappresentativo più adeguato per dare identità al nuovo polo, sia il primo che il secondo progetto non esitano a ricavare lo spazio necessario nell’area di confluenza delle vie S. Felice e del Pratello, proponendo la distruzione della stessa Casa Nagliati, detta l’Ospedaletto, costruita nel 1583 su disegno del Tibaldi. Sul lato nord di questo slargo, enfaticamente denominato piazza di Augusto, nel progetto «Porta Stiera 6» è prevista la costruzione di un edificio alto, disposto perpendicolarmente all’asse di via Roma e concepito per mascherare la mole incombente del Palazzo del Gas (che era stato eretto solo due anni prima, ironia della sorte, su progetto di uno degli stessi firmatari del «Porta Stiera»). Il rifacimento dell’imbocco della via Pratello (di cui si propone per giunta l’allargamento), l’organizzazione dell’ingresso a fornice della via S. Felice e, infine, la collocazione di un teatro in fregio alla nuova piazza sul lato ovest completano il volto di questa. Un volto che nei disegni oppone blocchi ciechi rivestiti in marmo a un vuoto che appare ospitale solo verso le automobili, le quali peraltro, negli stessi fotomontaggi, sembrano affacciarsi con timidezza in tanta retorica. Come nel coevo progetto per piazza del Duomo di Bottoni, Giordani e Pucci, si assiste a una sorta di schizofrenia fra le forme aeree e, a loro modo, ridenti delle torri progettate a fianco della via Roma e l’aspetto tetragono dei nuovi monumenti. A sancire la fondatezza della proposta, il progetto «Porta Stiera 6» produce analisi a loro modo raffinate sulla struttura della popolazione, sullo stato dei fabbricati, sul traffico, e su altri sistemi funzionali, nonché sui costi dell’intera ristrutturazione, applicando con sistematicità la metodologia illustrata da Bottoni (con la collaborazione di Pucci e Natoli) nella Mostra dell’urbanistica alla VI Triennale del 1936. Il lavoro analitico suscita l’ammirazione degli addetti ai lavori; Armando Melis in particolare afferma: «Forse per la prima volta in Italia abbiamo un modello di indagine che vorremmo consigliare di far conoscere agli studenti dei corsi di urbanistica e anche agli urbanisti che non sono più studenti» (Melis, 1973, p. 234). Ma la scientificità nel campo delle scienze sociali gioca brutti scherzi quando pretende di escludere prese di posizioni responsabili in ordine alla concezione della società e dell’uomo. Se proprio volessimo assumere l’invito di Melis, dovremmo invece consigliare, come lezione in negativo da non riprendere, l’atteggiamento che conduce gli autori del «Porta Stiera 6» ad attribuirsi l’arbitrio di disporre spostamenti e sostituzioni di ceti sociali sulla scacchiera urbana.

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 255-258.

N. Bertocchi, P. Bottoni, G. L. Giordani, A. Legnani, M. Pucci, G. Ramponi, Concorso per la sistemazione di via Roma e zone adiacenti. Motto Porta Stiera 6, Bologna 1937.

I progetti, in «Bologna», a. XXV, nn. 2-3, febbraio-marzo 1937, pp. 4-10.

R. Leonardi, L’esito del concorso per la sistemazione di via Roma, in «il Resto del Carlino», 10.3.1937.

Id., I progetti per la sistemazione di via Roma, ivi, 12.3.1937.

G. Tibalducci, Le caratteristiche dei progetti premiati per l’imbocco di via Roma a Bologna, in «Corriere Padano»,16.3.1937.

A. Raule, Per l’imbocco di via Roma. I tre progetti premiati, in «L’Avvenire d’Italia», 17.3.1937.

m. d., La nuova via Roma a Bologna prelude alla sistemazione di un vasto settore cittadino, in «La Stampa della Sera», 27.3.1937.

G. Rivani, Problemi urbanistici alla ribalta, in «L’Avvenire d’Italia», 6.4.1937.

A. G., La sistemazione di via Roma a Bologna, in «Casabella», a. X, n. 114, giugno 1937, pp. 22-23.

V. Civico, Aspetti del piano regolatore di Bologna: l’imbocco di via Roma in piazza Malpighi, in «L’Ingegnere», a. XI, n. 6, giugno 1937, pp. 284-291.

A. Melis, Il concorso per un progetto di sistemazione della nuova via Roma e della zona adiacente a Bologna, in «Urbanistica», a. VI, n. 4, luglio-agosto 1937, pp. 223-240.

Importanti deliberazioni del Podestà. Imbocco di via Roma e Riforma tramviaria, in «L’Avvenire d’Italia», 15.1.1939.

Il progetto di sistemazione di via Roma nella relazione illustrativa dell’Accademico Piacentini, in «Il Resto del Carlino»,28.2.1939.

C. Savoia, Sviluppi del piano regolatore, in «L’Assalto», 30.12.1939.

Tib. [G. Tibalducci], Il nuovo profilo di Bologna nelle linee del piano regolatore, in «Corriere Padano», 15.2.1940.

G. Tibalducci, Il nuovo volto edilizio di Bologna fascista, in «Il Piccolo», 16-17.2.1940.

A. Pica, Si tratta di via Roma (metamorfosi e vicende di due progetti), in «L’Ambrosiano», 21.2.1940.

G. Consonni, L. Meneghetti, L. Patetta, Piero Bottoni. Quarant’anni di battaglie per l’architettura, numero monografico di «Controspazio», a. V, n. 4, ottobre 1973, pp. 38-39.

Concorso per la sistemazione di via Roma a Bologna (1936), in «Parametro», a. XII, nn. 94-95, marzo-aprile 1981, pp. 73-74.

S. Zagnoni, Presenza razionalista in Emilia-Romagna. I protagonisti e le opere. Architettura di regime e motivazioni culturali, ivi, pp. 13-63.

E. Grisanti, A. Pracchi, Alfio Susini. L’attività urbanistica nella «stagione dei concorsi». 1928-1940, Electa, Milano 1982, pp.73-81.

G. C. [Consonni], Progetto per la sistemazione di via Roma a Bologna […], in G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 255-258.

G. Consonni, Piero Bottoni e Bologna. 1934-1941, in G. Gresleri e P. G. Massaretti (a cura di), Norma e arbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, Marsilio, Venezia 2001, pp. 260-277.

G. Consonni, Piero Bottoni a Bologna e a Imola. Casa, città, monumento. 1934-1969, Ronca, Cremona 2003, pp. 13-19.

G. Consonni, ‘Corpo a corpo’: il progetto razionalista per via Roma a Bologna, 1936-38, in M. Giambruno (a cura di), Per una storia del Restauro Urbano. Piani, strumenti e progetti per i Centri storici, CittàStudiEdizioni, Novara 2007, pp. 67-80.

Bibliografia a cura di Giancarlo Consonni

Incarico ai vincitori del concorso per la sistemazione dell’imbocco di via Roma di preparare – con le direttive di S. E. l’Arch. Marcello Piacentini – il progetto definitivo. Dattiloscritto, 4 cc./4 pp.

Modalità per il seguito del lavoro nel caso che venga bandito il concorso per il piano regolatore generale della città, accordo fra i professionisti: Bertocchi, Bottoni, Degli Innocenti, Giordani, Legnani, Pini, Pucci, Rabbi, Ramponi, Susini, Vitellozzi, Bologna 13 novembre 1937.Dattiloscritto, firmato Piero Bottoni e altri, 1 c./1 p.

Idem. Manoscritto, firmato Piero Bottoni e altri, 1 c./2 pp.

Verbale della seduta del 13 novembre 1937, allegato al documento descritto al punto precedente. Manoscritto, firmato Piero Bottoni e altri, 1 c./3 pp.

Verbali delle sedute della commissione degli II architetti incaricati della redazione del piano definitivo per l’imbocco di via Roma: 13 novembre […], 20 novembre […], 21 novembre […], 4 dicembre […], 5 dicembre […], 11 dicembre […],18 dicembre 1937 […], gennaio 1938 […]. Dattiloscritto, 25 cc./25 pp.

Nota spese architetti Bottoni e Pucci per lavoro di redazione Piano regolatore definitivo di via Roma a Bologna. Dattiloscritto, con correzioni manoscritte, in due copie, 7 cc./6 pp.

Allegati al documento descritto al punto precedente. Dattiloscritto, 4 c./4 p.

Ricevute spese, allegato al documento descritto al punto precedente. Manoscritto su modello stampato, 13 cc./13 pp.

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