op. 39-2 – Poltrona in tubo d’acciaio cromato a doppio molleggiamento, prototipo della Thonet France, 1931

opera 39-2

Poltrona in tubo d’acciaio cromato a doppio molleggiamento, prototipo della Thonet France, 1931

Scheda storico-critica

Con l’avvio delle prime esperienze di Bottoni nel campo dell’architettura degli interni, il 1929 segna anche l’inizio della sua attività di progettista di mobili che si prestano o che vengono appositamente pensati per una produzione su scala industriale. Tra i due campi di attività il confine è spesso incerto e corre comunque una osmosi continua. Alcuni fra gli oggetti progettati per l’arredamento di uno specifico ambiente possono costituire dei prototipi da sottoporre all’attenzione delle case produttrici. È il caso, ad esempio, dell’attaccapanni «a cactus» (con piantana in noce lucidato verde oliva, bracci in ottone nichelato e base in alpacca) realizzato dalla ditta Magnoni di Milano nel 1929 per casa Balducci, e che nel 1932 verrà esposto come prototipo nel salone parigino della Thonet France (la quale acquista i diritti sul modello senza tuttavia avviarne una effettiva produzione di serie). Per non dire del diretto coinvolgimento di produttori di mobili, fra i quali si possono citare le ditte Mariani e Arosio di Lissone, la Beltrami di Capriolo e la Colombo di Milano. Queste due ultime, specializzate nei mobili in ferro, risposero positivamente all’invito a realizzare prototipi sperimentali di singoli mobili o addirittura di interi ambienti concepiti come insiemi coordinati di componenti standardizzati; un’impresa questa perseguita da Bottoni con tenacia e coerenza attraverso una vera e propria collana di esperienze che si intrecciano con la storia delle Triennali: la cucina della Casa elettrica alla IV Triennale di Monza (1930), gli interni degli Elementi di case popolari e le Case per vacanza alla V Triennale di Milano (1933), l’Ufficio per piccole aziende e la Sala d’aspetto di un medico alla VI Triennale (1936), le soluzioni «tipiche» per il locale di soggiorno e per il guardaroba esposte alla VII Triennale (1940), per giungere infine alle prime tre Triennali del dopoguerra (1947, 1951, 1954) nelle quali Bottoni aggiorna il tema delle soluzioni tipo per l’arredamento di interni, da lui ampiamente trattato sul piano pratico come su quello teorico. L’osmosi fra i progetti d’architettura d’interni e lo studio di mobili di serie funziona anche nell’altro senso, dal momento che Bottoni ha modo di promuovere la riproduzione, sia pure in serie limitate, di oggetti da lui esplicitamente studiati per la produzione industriale e che si prestano a essere inseriti in diversi arredi. Fra i mobili progettati nel periodo 1929-32 si possono citare diversi esempi: una poltroncina in tubo d’acciaio cromato con sedile e schienale imbottiti e rivestiti in stoffa, progettata nel 1931 e prodotta in diversi esemplari per vari arredamenti (Franceschini, 1931-32; Davoli, Milano, 1932 ecc.); un tavolino in noce chiaro progettato attorno al 1930 (la data 1931 sul disegno n. 1206 è stata apposta nel periodo parigino, quando Bottoni cercava acquirenti dei suoi modelli fra le ditte francesi), usato, nella versione singola, come tavolino da letto per casa Minerbi (1930) e, nella versione doppia, con i due esemplari simmetricamente accostati, in casa Franceschini; infine un discreto gruppo di seggiole, poltrone, tavoli, armadi, letti ribaltabili e altri mobili anch’essi progettati per specifici arredi e poi riproposti, come riedizioni o con piccole varianti, in diverse altre realizzazioni di interni. Il fatto che sia lo stesso progettista a collocare presso la clientela uno per uno i pezzi prodotti su ordinazione, fatto che si riscontra nell’esperienza di diversi altri architetti, dimostra come all’inizio degli anni Trenta in Italia stenti ancora a trovare sbocchi significativi una produzione industriale di qualità aperta al gusto moderno. Del resto, anche quando i modelli di Bottoni vengono accettati dalle ditte produttrici, che se ne assicurano la produzione in esclusiva, gli esiti sono deludenti: in alcuni casi vengono meno commesse sperate, come per lo sgabello e per la poltroncina in tubo d’acciaio cromato (quest’ultima con sedile e spalliera in tela, dis. 1270), progettati probabilmente già nel 1929-30, e che la ditta Beltrami nel1933 si proponeva di produrre in diversi esemplari per il ristorante della Triennale (cfr. lettera a Bottoni del 21.1.1933, in APB, Corrispondenza); in altri casi è il prezzo elevato a mettere il prodotto fuori mercato, come accade per il letto di ontano chiaro prodotto in Italia dalla ditta Mariani di Lissone ed esposto nel salone della Thonet a Parigi che lo mise in vendita al prezzo di 3.600 Fr.: «vero furto» secondo Bottoni, che in una lettera alla madre del gennaio 1932 si lamenta anche del prezzo eccessivo (1.260 Fr.) a cui era venduta nello stesso salone la poltroncina in tubo a doppio molleggiamento eseguita su suo progetto dalla casa francese, dopo un estenuante lavoro di messa a punto del prototipo (ivi, lettere di B. alla madre e a L. Carmignani, autunno-inverno 1931). Né può essere trascurato, infine, il peso che su vicende come queste ha la crisi economica che, dopo il crollo di Wall Street, fa sentire la sua onda lunga in Europa fino a tutto il 1933.A partire da quest’ultima data, hanno probabilmente maggiore fortuna nella situazione italiana quei progettisti che possono contare su un saldo legame con una casa produttrice: è questo sicuramente il caso, piuttosto eccezionale, della fattiva e stimolante collaborazione di Gabriele Mucchi con l’azienda Pino di Parabiago; o, se si vuole, dello stesso Bottoni con la Cge per quanto riguarda gli involucri di apparecchi radiofonici. Un tentativo in questo senso verrà fatto successivamente da Bottoni e Pucci con la ditta Colombo di Milano, con la quale stipulano un contratto per la produzione in esclusiva dei mobili inseriti nella Sala d’aspetto di un medico esposti nella Triennale del 1936; ma, anche in questa occasione, gli esiti non si discosteranno di molto dalle sfortunate esperienze precedenti. Alla fine la vicenda di Bottoni designer appare in questi anni preda di una contraddizione che ha sì motivazioni strutturali, ma che probabilmente affonda le radici nella difficoltà di far aderire completamente la pratica alla teoria, anche perché pratica e teoria si affidano a specifiche ragioni tra loro non coincidenti: la sua produzione nel campo dei mobili e degli arredi, straordinaria sia sotto l’aspetto quantitativo (sono più di 700 i mobili da lui progettati tra il 1929 e il 1945) sia sotto l’aspetto qualitativo, si è mostrata refrattaria a quella riproducibilità e a quella standardizzazione a cui tante energie teorico-pratiche egli ha dedicato in quegli anni. Se pure non pochi di quei 700 mobili avrebbero potuto e ancora potrebbero prestarsi a una produzione di massa, Bottoni, anche per l’inesauribile vena creativa e per la curiosità a ricercare sempre nuove forme e soluzioni tecnologiche, ha legato il suo nome ai pezzi unici, a irripetibili architetture d’interni e non alla fortuna commerciale di oggetti di serie. Da qui forse deriva il fatto che la critica di questo dopoguerra, diversamente da quella precedente, non ha valutato con la dovuta attenzione i risultati da lui conseguiti sul versante più specifico dell’architettura d’interni e su quello dei mobili per l’industria. Ma in questa vera e propria rimozione dell’opera di un protagonista può aver contribuito la sua stessa preoccupazione – avvertibile dalla metà degli anni Trenta – di non essere identificato con una figura di architetto arredatore di case signorili, visto che a ciò, per ragioni non dipendenti dalla sua volontà, si erano ridotte le più significative realizzazioni da lui firmate fino a quel momento. Eppure in quella attività parallela di progettista di interni e di mobili potenzialmente di serie, esplicata tra il 1929 e il 1945, Bottoni è più che mai architetto di vaglia. Non è detto, per altro, che alcuni di quei mobili non possano tornare a esprimere dal vivo la loro presenza serena, come è accaduto alla poltrona riedita dal 1968 dalla ditta Zanotta e che riaggiorna il modello realizzato dalla Thonet France nel1931. Alla serenità il modello Thonet aggiungeva probabilmente un pizzico di gioiosità dato dal colore azzurro del cuoio, che rivestiva sia la spalliera che il sedile, e dalla canapa ritorta delle funicelle dello stesso colore (cfr. la lettera di Bottoni a L. Calabi dell’8.11.1932, copia in APB, Corrispondenza). Ma non meno interessanti sono le versioni progettuali che precedono il modello parigino. Mi riferisco a quanto ancora conservato nell’Archivio Bottoni, essendo andato smarrito sia il primitivo disegno da cui deriva il prototipo Thonet sia quello eseguito in sua sostituzione da Bottoni a Parigi (del quale esiste invece un ridisegno del 1969). Si tratta di uno schizzo e di tre disegni numerati (con una numerazione chiaramente apposta in data successiva alla loro esecuzione e che non rispetta affatto, in questa fase, l’ordine cronologico) i quali delineano due soluzioni: una soluzione è quella raffigurata nei disegni1274 e 1275 (che differiscono solo per la forma del telaio minore) e che, per la somiglianza con la poltrona raffigurata nella prospettiva dell’atrio della Villa Latina (1929-30) e per la coerenza stilistica con le forme cilindriche predilette da Bottoni in quel momento, ho ritenuto di identificare come la prima versione; l’altra è quella del disegno 1258 che si configura, a mio avviso, come una variante intermedia tra la prima e il modello Thonet. Questo progetto presenta infatti dei telai del tutto simili a quelli di quest’ultimo (salvo l’appoggio a terra), mentre se ne differenzia vistosamente per le larghe strisce (pensate probabilmente in cuoio e rigonfiate in alto da una imbottitura) le quali poi nel modello della casa francese hanno lasciato il posto alle funicelle di canapa e a una spalliera appena accennata.

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 172-174.

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