Architettura, Urbanistica e Design (1924-1973)

op. 145 – Sala di attesa per lo studio di un medico alla VI Triennale di Milano, 1936, con Mario Pucci

opera 145

Sala di attesa per lo studio di un medico alla VI Triennale di Milano, 1936, con Mario Pucci

op145 copertina

Nonostante la presentazione sulla Guida della Sesta Triennale, con ogni probabilità stilata dagli stessi autori, indichi nello studio dei «principi funzionali» il centro di interesse di quest’opera, il suo punto di forza sta nell’interpretazione architettonica di una condizione psicologica: quella dell’attesa, più o meno preoccupata e comunque tediosa, di essere introdotti nello studio di un medico. L’interpretazione vuole anche polemicamente puntare l’indice sull’uso degli stili aulici solitamente impiegati, a quell’epoca, per ratificare una condizione di autorità del medico sul paziente. In questi luoghi lo stile razionalista può invece mostrare le sue notevoli capacità liberatorie e far saltare la segreta forza persuasiva del falso «cinquecento toscano, nero nero» (g.p. [Ponti]), 1936, p. 22), aderendo alla verità di una situazione. Bando quindi alla falsa socialità di questi luoghi di attesa: in quelle sale ognuno è solo con i suoi pensieri; la curiosità o persino gli sguardi degli altri possono dar fastidio. Forse anche questa condizione psicologica è un portato dei tempi nuovi, ma su ciò Bottoni e Pucci non hanno dubbi: «a tutti noto è il fatto dell’assoluta promiscuità delle sale d’attesa e dell’imbarazzo al quale ciascuno che entri nella sala è sottoposto per effetto della generale attenzione che a lui si rivolge da parte degli altri clienti che già attendono. Questo inconveniente è determinato massimamente dal fatto che i sedili, nelle sale d’attesa normali, sono allineati circolarmente lungo le pareti del locale, e che quindi molti di essi guardano la porta di ingresso» (Guida, 1936, p. 132). Da qui il rivoluzionamento degli spazi. Un lungo mobile contenitore divide la parte della stanza su cui danno i due ingressi riservati ai pazienti, formando «due distinti salottini di attesa» dove, lungo i due percorsi che conducono alla porta dello studio del medico, sono allineate le poltrone in modo che ciascuna guardi in quella direzione. Ma, come a stabilire un’alleanza con quelle solitudini, ecco una delle sorprendenti invenzioni in cui ritroviamo il Bottoni poeta chapliniano: un taglio netto nella parete in vetrocemento, che dà luminosità all’intero locale, mostra un lunghissimo acquario, dove il flusso dei pensieri può trovare attimi di sospensione dietro alle evoluzioni dei piccoli ospiti. È la sola nota di colore e di sollievo; il resto interpreta la scena con serietà mediante il contrasto fra la snella ed elegante figura del mobile contenitore e il grave espressionismo delle poltrone. In queste poi le circonvoluzioni della struttura in tubo si sposano ad alte imbottiture di gommapiuma la cui apparente pesantezza si traduce, per chi si siede, in morbida accoglienza. Anche questo contrasto, presente sia nella poltrona «a telaio involuto» progettata da Pucci sia nelle tre poltrone «a telaio incrociato» di Bottoni, nasce dal fatto che al centro dell’attenzione dei progettisti è più che mai la condizione psicologica del paziente: se quando sono vuote le poltrone sembrano mimarla, quando accolgono le persone in attesa le loro forme ineleganti esplicano una funzione consolatoria: «Le poltrone presentate alla Triennale – scrive Bottoni ad Albini il 10.9.1936 (copia in APB, Corrispondenza) –seguono con il loro molleggio qualsiasi movimento del corpo abbassandosi sia nella parte anteriore che in quella posteriore del sedile». Si ha così un prodotto di design che vive una insanabile contraddizione data dalla sua duplice caratteristica di voler essere un prodotto di serie e di appartenere invece quasi indissolubilmente a quell’autentica messa in scena teatrale che è la Sala di attesa per lo studio di un medico della VI Triennale. Del resto la scarsa fortuna commerciale dei tre modelli di Bottoni, per i quali la ditta Colombo aveva pure concordato con il progettista la produzione in esclusiva, è a suo modo una conferma del fatto che quegli oggetti costituivano un’opera unica, come lo era l’intera Sala, nonostante l’intenzione di farne un arredo tipo. Per rimanere alle poltrone, quantunque Bottoni insista nel sottolineare la originalità della soluzione tecnica da lui inventata con il «telaio incrociato», va in ogni caso osservato che le forme un po’ goffe e «sedute» di quelle sue poltrone potevano difficilmente incontrare il gusto dello stesso pubblico aperto ai prodotti della nuova architettura. Vale comunque la pena di osservare questi oggetti da vicino per appurare in cosa consista la novità. Bottoni stesso così la spiega ad Albini nella lettera sopracitata: «Tutti e tre i modelli sono basati su un principio di sospensione nuovo che differisce completamente da tutti i tipi di sospensione sino a ora adottati (sostanzialmente dal tipo originale di sospensione Mies Van der Rohe/Breuer di cui tutti i tipi di sedie in metallo a sospensione elastica si sono valsi). […] La caratteristica che differenzia questo tipo di sospensione dagli altri è la seguente: sotto l’effetto del peso le estremità libere del telaio si allontanano mentre negli altri tipi di sospensione si avvicinano». Ma le invenzioni tecnologiche esibite in questa Sala d’attesa non finiscono qui. Addirittura, secondo Gio Ponti, «l’argomento è stato piuttosto per Bottoni l’occasione di trovare e provare certe linee, certe tecniche, certi ingegnosissimi accorgimenti […]»; tant’è che il direttore di «Domus» invece che illustrare l’intera realizzazione, come ci si potrebbe attendere dal titolo dell’articolo di commento apparso nel numero di settembre del 1936 della rivista, fa seguire alla sua breve nota introduttiva la sola descrizione, dettagliatissima, del mobile contenitore. L’eccezionale qualità tecnica e architettonica di questo elemento d’arredo non sfuggirà nemmeno a quell’altro attento osservatore che risponde al nome di Giuseppe Pagano. Vale dunque la pena prestare attenzione a questo oggetto. Esternamente il mobile sembra riprendere lo schema degli scheletri di case in cemento armato dove i lunghi tubi di sostegno hanno la funzione dei pilastri portanti, i ripiani fungono da solette e le ante in compensato, inserite in guide di anticorodal sui lati maggiori, si presentano come serramenti totali che prendono interamente il posto dei muri di tamponamento. Questo aspetto lecorbusieriano, particolarmente percepibile con le ante socchiuse, è però solo un effetto apparente. In realtà gli elementi base del mobile sono costituiti, oltre che dai pilastri ovvero dai tubi di sostegno, non da solette ma da solidi telai di forma rettangolare aventi anch’essi una funzione portante. Nella soluzione presentata alla Triennale in ciascuna delle due parti che compongono il lungo mobile i telai sono accostati a quattro a quattro, e «trattenuti aderenti uno all’altro, da ganci speciali, a leva, posti nell’interno» («Domus», sett. 1936, p. 22). La possibilità di assemblare solidamente i telai, sia di costa che mediante la sovrapposizione di due lati, consente una molteplicità di altre combinazioni di moduli base in lunghezza, altezza e profondità. Tali possibilità sono poi ulteriormente moltiplicate dalla presenza di una coppia di fori su tutti i lati dei telai che consentono un loro impiego ruotato di 90 gradi rispetto a quello adottato nel mobile esposto alla Triennale: «Sarà possibile allora, sfilando gli stessi tubi che formano gli attuali piedi e supporti interni e rinfilandoli nei buchi già a ciò predisposti sui fianchi del mobile […], ottenere due mobili a scomparti verticali facilmente adattabili a mobile per abiti» (ivi, pp. 23, 24). A ragione, di fronte a questa ennesima invenzione, Gio Ponti poteva scrivere: «Qui [Bottoni] è tutti lui, cioè uno dei nostri ideatori più analitici e ingegnosi» (ivi, p. 22).

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, p. 244-46.

Guida della VI Triennale, Milano 1936, pp. 131-132.

Due arredamenti con mobili d’acciaio alla Sesta Triennale di Milano, in «Natura», a. IX, luglio 1936, pp. 35-40.

R. G.[Giolli], Il cristallo Securit alla Sesta Triennale, in «Domus», a. IX, n. 103, luglio 1936, pp. 55-58.

R. Papini, Le arti a Milano nel 1936-XIV, in «Emporio», a. XLII, n. 8, agosto 1936, pp. 65-86.

A. C. Zuffellato, La VI Triennale. Abitazione e arredamento, in «Il Ventuno», a. V, n. 39, agosto-settembre 1936, pp. 24-27.

M. Accascina, La casa in festa. Alla VI Triennale di Milano, in «Giornale di Sicilia» (Palermo), 1.9.1936.

Una sala d’attesa per un medico proposta alla Triennale, con una introduzione di g. p. [Ponti], in «Domus», a. IX, n. 105, settembre 1936, pp. 22-25.

G. Pazzi, VI Triennale di Milano. L’uomo 900 e la sua vita, in «Il Corriere Padano», 9.10.1936.

G. Pagano, Tecnica dell’abitazione, Quaderni della Triennale, Hoepli, Milano 1936, p. 41.

F. Albini, La gommapiuma Pirelli alla VI Triennale, Domus, Milano 1936. Applicazioni moderne di nuovi materiali. Il cristallo Securit alla VI Triennale, in «Case d’oggi», a. XV, n. 3, marzo 1937, pp.29-32.

O. Selvafolta (a cura di), Studi, progetti, modelli e oggetti del razionalismo italiano, in «Rassegna», a. II, n. 4, ottobre 1980, pp. 73-74.

G. C. [Consonni], Sala di attesa per lo studio di un medico alla VI Triennale di Milano, 1936 […], in G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 244-246.

Bibliografia a cura di Giancarlo Consonni

Applicazione del vetro di sicurezza Vis in struttura di vetrocemento, nota descrittiva. Dattiloscritto, in tre copie, 1c./1 p.

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