Architettura, Urbanistica e Design (1924-1973)

op. 108 – Studi di lampade al neon, 1934 ca.

opera 108

Studi di lampade al neon, 1934 ca.

op108 copertina

 

«[…] tra le necessità razionali della casa occorrerà non dimenticare che vi è la prima, importantissima dell’abitare: quella necessità, cioè, che la poesia e la sensibilità dell’artista, come uomo prima che come tecnico, avrà potuto sentire e risolvere. Per questo certe forme squisitamente funzionali degli apparecchi di illuminazione potranno, in certi casi, essere unite a espressioni astratte di architettura-luce, di un ordine che si potrebbe quasi definire metafisico e d’arte pura e che nulla ha a che vedere con la ” decorazione” intesa come applicata (dipinta, scolpita) o comunque sovrapposta all’apparecchio illuminante una volta già sostanzialmente formato» (Bottoni, maggio 1932, p. 21). Queste annotazioni, poste da Bottoni a commento della presentazione su «La Casa Bella» di due lampadari realizzati su suo progetto, sono sufficienti a dare un’idea dell’importanza che nella sua esperienza teorica e pratica assume il tema della luce e come questo sia trattato in modo coerente e strettamente intrecciato a quello del colore. Per il loro costituirsi come fonti di sensazioni e di emozioni, e per la capacità di influire in modo decisivo sugli effetti delle forme plastiche nello spazio e sul rapporto fra vuoti e pieni, la luce e il colore sono elementi primi dell’architettura, non meno della pietra e del mattone. Se nei Cromatismi architettonici aveva intrapreso una prima serie di sperimentazioni sul rapporto volume-colore-spazio, con la riflessione teorica condotta attraverso l’esame di realizzazioni concrete, di cui dà conto sulla rivista «Illuminotecnica» e poi sull’«Illuminazione Razionale» tra il 1929 e il 1932, Bottoni perviene con sicurezza a individuare i termini teorici e pratici di una «”architettura della luce” capace di determinare emozioni d’arte alla stessa guisa di una espressione di colore o di volume o di suono» (Bottoni, maggio-giugno 1929, p. 18). Per questa strada egli arriva a inglobare nel campo dell’architettura anche le «espressioni liriche di architetture notturne effimere» prodotte con la luce (Bottoni, gennaio 1932, p. 9). Del resto, pur dichiarandosi a parole contrario al ricorso agli effetti scenografici nella progettazione di interni, dimostrerà nei fatti, in molteplici realizzazioni, come attraverso una sapiente distribuzione e messa a punto delle sorgenti luminose e degli effetti da queste prodotti nello spazio, in simbiosi con i colori e con i vuoti e i pieni, si possa pervenire a una pratica totale dell’architettura come arte dello spazio abitato. Il fatto stesso che le sorgenti luminose siano spesso integrate e quasi dissolte in molti dei suoi mobili – come i tavolini, i mobili bar, le vetrinette a scaffali di vetro, le credenze e le toelette – è un’ulteriore conferma del fatto che egli tratta la luce come un materiale alla stregua del legno e del metallo. Ma Bottoni non manca di condurre una esplicita riflessione sulla forma stessa delle sorgenti luminose, compiendo un breve ma penetrante excursus storico sulla loro recente evoluzione e arrivando a concludere, in sintonia con gli assunti del razionalismo, che è necessario pervenire a «forme pure» coerenti con la sensibilità moderna e con il carattere specifico della luce elettrica (Bottoni, marzo 1929). Come sempre in Bottoni la riflessione teorica avanza di pari passo con la pratica concreta; così nello stesso periodo in cui egli produce questo suo scritto sulla luce nell’architettura, cui seguiranno gli altri sull’architettura-luce, elabora i primi progetti di lampade. Fra quelli di cui è conservata la documentazione figura una semplicissima lampada a soffitto: da un telaio di forma quadrata, probabilmente concepito in metallo, o in metallo e legno, scendono come delicati velari delle sottili lastre di vetro opalino con colori che trapassano dal giallo al giallo arancione e che avvolgono in un labirinto appena accennato la sorgente luminosa. Il vetro è elemento protagonista di molti altri progetti che, diversamente da questo del 1929 non eseguito, vengono realizzati in pezzi unici o in piccole serie in quanto per lo più concepiti in stretta connessione con le specifiche architetture d’interni. È il caso della «nicchia luminosa nel plafone di una camera da letto» realizzata con ogni probabilità nei primi mesi del 1932 e perfettamente restituita nelle caratteristiche tecniche e architettoniche in una breve scheda, con tutta probabilità dello stesso Bottoni, apparsa su «La Casa Bella» nel maggio dello stesso anno e che vale la pena di riproporre integralmente: «Sui bordi della nicchia una fessura ad apertura variabile, schermata con vetro diffusore, serve all’illuminazione principale dell’ambiente. Una serie di cristalli incisi a onda è resa luminosa dalla luce che dalla parte superiore mascherata dalla nicchia filtra attraverso la costa dei cristalli. Questa serie di incisioni ondulate che si sovrappone variamente con lo spostarsi del punto di osservazione determina coi suoi raggi verdi una mobile impressione di liquidità marina della luce e del corpo luminoso e un senso di immaterialità astratta di tutto l’apparecchio di illuminazione atta a favorire l’attività fantastica di chi esca dal sonno e dal sogno o di chi stia per entrarvi (Esecuzione Mariani Attilio – Lissone)». Il fatto poi che in questo caso la realizzazione venga assunta da un mobiliere è indicativo sia della artigianalità dell’esecuzione – qui accentuata dal fatto che il pezzo è concepito su misura per un ambiente determinato – sia di una prassi che vede comunque il progettista di interni assumersi normalmente il compito di mettere a punto, volta a volta, apparecchi studiati ad hoc. Questo è consentito dalla disponibilità di abilissimi esecutori che, presso taluni mobilieri e soprattutto presso laboratori specializzati, possono lavorare a stretto contatto con il progettista nella realizzazione di prototipi e di loro varianti. La stessa soluzione di illuminotecnica adottata nella nicchia sopradescritta può così essere riproposta nella versione a lampadario e, in tale veste, ricomparire nella sala da pranzo di casa Dello Strologo, realizzata sempre nei primi mesi del 1932. Ma l’elenco degli apparecchi di illuminazione (a soffitto, a muro e a piede) messi a punto da Bottoni dal 1929 al 1940 è molto più lungo. Alcuni sono chiaramente visibili nelle architetture d’interni qui documentate in specifiche schede; si vedano, solo per fare qualche esempio, i seguenti apparecchi: le luci angolari adottate negli arredamenti Balducci e Dello Strologo (1929); il lampadario in vetro opalino, specchio e supporti in metallo per la sala da pranzo di casa Minerbi (1930); la lampada a piede a doppia luce, diretta verso l’alto e indiretta verso il basso, proposta in diversi arredi (Almansi, Ottolenghi, Stock ecc.) tra il 1933 e il 1936; il lampadario per il salotto di casa Cicogna (1934) costituito da due sorgenti luminose allungate, inserite in un supporto metallico collegato a una grande lastra di vetro smerigliata a strisce, del quale qui si pubblica il disegno; e, ancora, il lampadario in lamiera forata e opalina studiato per la sala da pranzo di casa Bedarida (1936-37) e riproposto in dimensioni ridotte e con materiali autarchici per casa Davoli (1941). In ognuno di questi oggetti l’invenzione tecnica si salda felicemente a soluzioni formali nelle quali l’essenzialità delle linee non si inaridisce nel geometrismo ma si risolve in elegante compostezza, spesso aperta, anche per il sapiente accostamento dei materiali, a giocosi ammiccamenti. Se in alcuni casi l’apparecchio luminoso è integralmente concepito ex novo, in altri trae la sua forma da elementi esistenti in commercio. Così, le orribili lampade a muro con le lampadine che imitano le candele, mediante l’incastellamento delle due estremità in supporti metallici dalla forma cilindrica, sono trasformate in oggetti che, per il rigore formale, possono essere affiancate a una psiche, come nella camera da letto di casa Dello Strologo, o usate per illuminare gli angoli di una stanza, come nella sala da biliardo di casa Righi (entrambe del 1932). In un altro progetto del 1936 tre lampade tradizionali a boccia sono raccolte in una struttura che fa da supporto a un bordo in legno sagomato, a metà del quale è inserito uno specchio, sicché la luce emessa dai diffusori opalescenti ha modo di essere incanalata verso il basso e verso l’alto, mentre le tre sfere luminose si mostrano appena. Infine Bottoni, in alcuni schizzi probabilmente eseguiti per l’arredamento di un bar (forse per il progetto del bar-cremeria S.Babila, di difficile datazione ma collocabile attorno al 1934), non manca di sondare le potenzialità delle luci al neon, studiandone la combinazione con sorgenti luminose tradizionali e materiali vari (opalina, specchio e metallo). Ne sortiscono esercizi formali che richiamano le composizioni dell’arte astratta.

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 178-180.

G. C. [Consonni], Apparecchi di illuminazione, 1929-1940, in G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 178-180.

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