Architettura, Urbanistica e Design (1924-1973)

op. 61 – Progetto del Piano regolatore di Verona, concorso, 1931-32, con Gianni Boccoli, Eugenio Faludi, Enrico A. Griffini, Giovanni Manfredi, Mario Pucci e Tullio Serra

opera 61

Progetto del Piano regolatore di Verona, concorso, 1931-32, con Gianni Boccoli, Eugenio Faludi, Enrico A. Griffini, Giovanni Manfredi, Mario Pucci e Tullio Serra

op061 copertina

 

Il 15 luglio 1931 il Comune di Verona bandisce il concorso per il progetto del piano regolatore della città lasciando ai concorrenti un anno di lavoro. Oltre a definire in modo circostanziato il carattere degli elaborati, il bando fornisce anche alcune indicazioni di massima, raccomandando in particolare: «Dovranno il più possibile essere evitate le trasformazioni e gli sventramenti, che si risolverebbero in gravi danni per le condizioni di arte e di ambiente della Città, e sono solo da promuovere alcuni allargamenti e diradamenti in quelle località che richiedono un risanamento igienico e sociale, e che d’altro lato non hanno una vera importanza artistica. Non è da escludere che taluno dei siffatti provvedimenti isolati si possa avere anche per fine di valorizzare e porre in luce antichi edifici nascosti, eventualmente associandosi ad opere di restauro e di liberazione». Nonostante l’ambigua e tartufesca distinzione fra «sventramenti» e «allargamenti e diradamenti», è manifesto il tentativo di porre un freno all’affondamento del bisturi nel tessuto storico, nel timore che gli urbanisti si lasciassero prendere la mano da operazioni chirurgiche, come da tempo ormai si verificava con il beneplacito del regime e a beneficio della speculazione. Il timore era più che fondato: l’invito alla moderazione non viene raccolto dai 14 gruppi concorrenti e tantomeno dai 5 che la Commissione giudicatrice sceglie come i migliori. L’invito è infatti servito a bandire la parola «sventramenti» dalle relazioni di progetto, ma non a impedire che i concorrenti sotto la dizione «diradamenti» pervenissero a proposte che comportavano distruzioni considerevoli nel centro urbano. A questo non fa eccezione il progetto elaborato dal gruppo di architetti e ingegneri di cui Bottoni fa parte. «Come indirizzo generale – si legge nella relazione che accompagna il progetto – si è provveduto a che nel nuovo piano il vecchio nucleo non [fosse investito dal grande traffico, ma conservato nel suo carattere personale. Si sono lasciate immutate antiche strade, creando delle parallele ad esse, delle piazze di sosta e una rete stradale attorno al centro di P. delle Erbe, capace di rendere tangenziale il traffico oggi trasversale» (Boccoli e altri, 1932, p. 29). Per salvare non solo i monumenti singoli ma anche gli ambienti di pregio, si ritiene necessario aprire nel tessuto percorsi alternativi su cui dirottare il traffico. Le ragioni di questa scelta non stanno solo nell’attribuzione di un ruolo prioritario alla «funzione», ma nel fatto che il flusso dei veicoli, delle merci e delle persone è visto come un elemento animatore indispensabile a mantenere in vita il vecchio nucleo. La creazione di collegamenti più efficienti all’interno del tessuto storico è d’altro canto assunta come condizione necessaria per dar vita a una struttura bipolare, attraverso il rafforzamento, oltre che del tradizionale fulcro di piazza delle Erbe, di quello costituito da piazza Vittorio Emanuele (poi Bra) e da piazza della Cittadella, dove si ipotizza la collocazione del nuovo edificio della Borsa: «per mantenere la continuità di funzionamento dei due centri cittadini, sarà necessario risolvere il problema del loro rapido ed efficace congiungimento che avviene ora attraverso la sola via Mazzini; giacché questa, dovendo restare pedonale, non può avere gli attributi di una strada a traffico completo» (ivi, p. 25). Da qui nasce appunto la proposta dell’apertura della nuova trasversale capace per il suo tracciato di smistare velocemente il traffico moderno (tranvie, automobili ecc.) […]» (ivi, p. 39). Individuata nell’immediato intorno di S. Maria della Scala la possibilità di formare una nuova piazza, questa diviene il centro di raccordo di una strada larga 16 metri che collega più direttamente sia piazza Vittorio Emanuele con le adiacenze di piazza delle Erbe sia il Ponte Navi e il Ponte Umberto (poi Ponte Nuovo) con il Ponte della Vittoria. Il tracciamento di questi collegamenti più diretti, secondo gli autori del progetto, avrebbe evitato «il transito attraverso il nucleo centrale» (ivi, p. 39). «In questo schema a forma di T – osserva Piccinato – il traffico verrebbe incanalato sia nel senso Milano-Venezia che in quello Mantova-Trento senza ingombrare i nodi caratteristici attuali. Si verrebbe così però a costituire un nuovo nodo presso S. Nicolò in un punto nel quale non sembra possibile evitare un nuovo congestionamento» (Piccinato, 1933, p. 514). Ma subito dopo egli stesso aggiunge: «La Commissione, pur riprovando l’idea di questa trasversale attraverso la città antica, tuttavia ha riconosciuto che tra tutte le soluzioni presentate questa è la più rispettosa dell’ambiente (ibidem). Anche gli altri concorrenti non mancavano infatti di affondare il bisturi, in particolare Chiodi e Merlo, classificati al primo posto ex aequo con il gruppo di cui facevano parte Bottoni e Griffini. Rarissime sono del resto le prese di posizione critiche capaci di indicare quanto illusoria sia l’idea di salvare alcuni punti pregiati del centro storico mediante l’apertura, a pochi metri di distanza, di nuovi percorsi in cui incanalare il traffico. Le contestazioni più puntuali provengono da un’associazione come quella della «Proprietà edilizia» che difende gli interessi dei piccoli proprietari e che vede talune operazioni di pesante ristrutturazione come una sventura per i propri associati. Tramite il rappresentante in seno alla Commissione giudicatrice è proprio questa associazione a dire una verità lapalissiana ignorata dagli urbanisti: «il traffico è come una valanga, che poco a poco attrae a sé ciò che trova a sé vicino; esso per necessità si intensifica sempre più, illimitatamente. Sventrata una strada bisogna allargare quella in cui essa sbocca e quelle a essa convergenti e quelle in cui si incrocia. E si viene così in pieno alla devastazione totale della vecchia città» (Rossi, 1933, p. 470). Anche questo progetto dunque, come quello per il centro di Genova del 1930, è iscritto in quell’ideologia dell’efficienza e dell’igiene che fa passare in secondo piano ogni altro valore connaturato con lo spazio urbano. La stessa sottolineatura in ordine ai temi di «arte, archeologia e ambiente» non va molto al di là del criterio del diradamento attorno ai monumenti propugnato dal Giovannoni (il quale, fra l’altro, figura con Piacentini e Calza Bini tra i 10 membri della Commissione giudicatrice del concorso). Con le chiese di S. Maria della Scala, e di S. Nicolò, si propone infatti di «liberare» anche la chiesa di S. Stefano, e, ancora, la porta di S. Giorgio. Quanto alle proposte per l’area esterna al centro, il progetto applica puntualmente le regole messe a punto dai Ciam. Dalla zonizzazione alla separazione dei traffici (con la creazione di circonvallazioni preferenziali per gli autocarri) alla formazione di quartieri periferici autosufficienti, il piano «Valdonega S. Pancrazio» appare una esercitazione da manuale, e non è un caso che Bottoni scelga di presentare proprio questo lavoro – assieme a una esposizione critica del piano regolatore di Littoria – al IV Ciam nelle sedute del luglio-agosto 1933 tenute a bordo del Patris II. Si è così verificato che proprio a questo progetto, che oggi siamo propensi a giudicare molto criticamente per il modo di rapportarsi alla città storica, sia toccata la ventura di sollevare il tema del rapporto con le preesistenze in un consesso i cui interessi erano orientati in tutt’altra direzione. A suo modo infatti, date le premesse da cui muovono gli autori, questo lavoro segna anche il difficoltoso tentativo di cercare un dialogo con la storia, come attestano soprattutto i planivolumetrici elaborati su punti monumentali della città. E il caso del progetto per la valorizzazione della Cittadella, destinata a piazza degli Affari, e del progetto per la sistemazione del nucleo attorno a S. Zeno. A proposito di quest’ultimo progetto, così recita la relazione: «Si è creato, pochi metri più innanzi del limite sud della Piazza, un basso edificio che lascerà ai due lati estremi ampie visuali verso la Chiesa. Il grande traffico si svolgerà quindi al di fuori della piazza: in essa invece sarà creato un sagrato circondato da alberi. Tutto il grande lotto posto intorno a S. Zeno […] sarà mantenuto ad orti protetti dalla legge sulla difesa del paesaggio» (Boccoli e altri, p. 36). Dopo l’assegnazione a questo progetto del massimo riconoscimento (diviso come si è detto con quello di Chiodi Merlo), la Commissione conclude i propri lavori contrapponendo ai cinque progetti premiati una propria proposta. Questa fa tesoro delle indicazioni più interessanti di tali progetti, ma limita le operazioni di diradamento, non senza «qualche soluzione discutibile (es.: una strada, inutile per il traffico, a nord della basilica di S. Zeno, di cui sacrificava l’ambiente […])» (Alpago-Novello, 1937, p. 298). In questa accezione non manca chi con coraggio denuncia pubblicamente la prevaricazione: «Da circa 10 anni – scrive Giuseppe Pensabene su «Il Tevere» – sono effettivamente tre persone che decidono tutti i concorsi, e hanno determinato, di conseguenza, lo stato attuale dell’architettura». Nel caso del concorso di Verona, il potere di Piacentini, Calza Bini e Giovannoni arriva direttamente all’autopromozione. Per Bottoni e per gli altri autori del progetto Valdonega S. Pancrazio, l’esclusione dai lavori di redazione del piano definitivo, nonostante il conseguimento del primo premio, comporta soprattutto il venir meno di un’importante occasione per fare i conti più da vicino con la realtà della città, ivi compresi gli interessi e i conflitti che si accompagnano alla definizione di un piano regolatore. A loro resta la soddisfazione di un altro premio: l’attribuzione per questo lavoro di una delle medaglie d’oro dell’Esposizione internazionale di Parigi del 1937.

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 190-193.

[G. Boccoli, P. Bottoni, E. Faludi, E.A. Griffini, G. Manfredi, M. Pucci e T. Serra], Concorso per il Piano regolatore di Verona. Motto: Valdonega e S. Pancrazio, [1932].

Comune di Verona, Concorso nazionale per il progetto di Piano regolatore della Città di Verona. Relazione della Commissione giudicatrice, Verona 1933.

I progetti per il Piano regolatore. «Valdonega» e «S. Pancrazio», I, in «L’Arena», 1.1.1933.

Id., II, ivi, 5.1.1933.

G. Silvestri, Il Piano regolatore di Verona. La città romana e le necessità del traffico, in «L’Ambrosiano», 4.1.1933.

Il nuovo Piano regolatore di Verona, in «il Lavoro fascista», 5.1.1933.

Id., Orizzonti della città nuova, ivi, 6.1.1933.

L’Osservatore, Sul piano regolatore della città. Quello che è necessario far subito, in «Il Corriere padano», 10.1.1933.

B. La Padula, Notiziario di architettura, in «Futurismo», a. II, n. 19, 15 gennaio 1933, p. 6.

R. Papini, Verona antica e nuova, in «Corriere della Sera», 19.1.1933.

G. Pensabene, Urbanistica, in «Il Tevere», 14.2.1933.

V. Civico, Verona e il suo piano regolatore, in «L’Ingegnere», a. VII, n. 4, aprile 1933, pp. 261-269.

C. Albertini, Il problema urbanistico di Verona, in «La Casa», a. XIV, n. 5, maggio 1933, pp. 407-409.

P. Rossi, Piani Regolatori e Proprietà Edilizia, in «La proprietà edilizia italiana», a. V, n. 5, maggio 1933, pp. 467-472.

L’urbanisme à l’étranger: Vérone, Griffini, Bottoni, in «L’Architecture d’aujourd’hui», a. IV, n. 5, giugno 1933, pp. 90-92.

L. Piccinato, Urbanistica. Il concorso del Piano regolatore di Verona, in «Architettura», a. XII, n. 8, agosto 1933, pp. 512-530.

Le IV Congrès international d’architecture moderne à Athènes «La ville functionnelle», numero monografico della rivista «Annales Techniques», a. IV, n. 44-46, ottobre-novembre 1933, in part. pp. 1172-1173.

A. Alpago-Novello, La prima mostra nazionale dei piani regolatori, in «Rassegna di Architettura», a. IX, n. 7-8, luglio-agosto1937, pp. 285-298.

G. L. Mellini, O. Tognetti, 1866-1961. Griglia per una storia della cultura architettonica a Verona, in «Architetti Verona», a.III, n. 13, luglio-agosto 1961, pp. 13-19.

G. C. [Consonni], Progetto del piano regolatore di Verona, Concorso, 1931-32 […], in G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 190-193.

Bibliografia a cura di Giancarlo Consonni

1. Nuovo piano regolatore di Verona, motto: Valdonega e San Pancrazio, I° premio ex-aequo. Dattiloscritto, 7 cc./7 pp.

2. Idem. Dattiloscritto con correzioni e integrazioni manoscritte, 7 cc./7 pp.

3. Idem. Dattiloscritto, mancante della prima pagina, 6 cc./6 pp.

4. Idem, bozza. Manoscritto, 2 cc./6 pp.

5. Concorso per il piano regolatore di Verona, motto: Vandonega e S. Pancrazio. Stampato in opuscolo, 58 pp.

6. Appunti sul progetto Valdonega-San Pancrazio. Dattiloscritto con correzioni manoscritte, 2 cc./2 pp.

7. Il nuovo piano regolatore di Verona. Dattiloscritto con annotazione manoscritta, 4 cc./4 pp.

8. Nuovo piano regolatore di Verona […], descrizione delle tavole. Dattiloscritto, 2 cc./2 pp.

9. Comune di Verona, Concorso nazionale per il progetto di piano regolatore della città di Verona, relazione della commissione giudicatrice, Verona 1933. Stampato in opuscolo, 24 pp./6 ill.

10. Memoriale, concorso nazionale per il piano regolatore di Verona. Dattiloscritto, in due copie, 10 cc./10 pp.

11. Stralcio dal giornale […], descrizione di un progetto delle Ferrovie dello Stato. Dattiloscritto con integrazioni e correzioni manoscritte e schizzo, 1 c./1 p.

12. Lettera in risposta a un articolo di Giuseppe Silvestri pubblicato su “L’Ambrosiano” il 31 dicembre 1932, bozza. Dattiloscritto, 1 c./2 pp.

13. Idem. Dattiloscritto, firmato: un concorrente, 1 c./2 pp.

14. Lettera, bozza. Manoscritto, 1 c./2 pp.

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