op 155 Progetto di sistemazione della piazza del Duomo a Milano, concorso, 1937, con Gian Luigi Giordani e Mario Pucci

opera 155

Progetto di sistemazione della piazza del Duomo a Milano, concorso, 1937, con Gian Luigi Giordani e Mario Pucci

op155 copertina

«Secondo il piano regolatore la piazza Diaz doveva essere chiusa e non transitabile da veicoli, circondata interamente da portici in modo da formare un angolo tranquillo e riparato. Ma all’atto pratico sorse subito la necessità di varianti ed apparve anche l’opportunità di aprire la piazza al traffico per alleggerire la via Carlo Alberto». Così sul «Corriere della Sera» dell’11 dicembre 1936, in un articolo redazionale intitolato l’Arengario e la piazza Diaz, annuncia la ripresa delle grandi manovre su piazza del Duomo. Si ritorna ad agitare il problema dell’abbattimento della Manica Lunga e del completamento del fronte sud, ma ciò che in realtà si vuole riaprire è il capitolo di piazza Diaz e delle volumetrie relative. Il capitolo, com’è noto, è destinato ad avere un lieto fine solo per la proprietà immobiliare: regime nel 1939, per intervento diretto di Mussolini, regalerà infatti alla speculazione la variante al piano regolatore che, tradotta nel vincolo giuridico della convenzione, consentirà nel dopoguerra di realizzare un edificio a torre alto 80 metri a due passi dal Duomo, quello appunto che, ponendosi in asse con la Galleria del Mengoni, ancora oggi chiude a sud la piazza Diaz.
Ma vediamo come si giunge a questo risultato. Dopo la messa a punto della variante nell’articolo del «Corriere della Sera» sopracitato, il Consiglio superiore delle antichità e belle arti, emanazione del Ministero dell’educazione nazionale a cui il piano è sottoposto per l’approvazione, nomina una commissione composta da Ugo Ojetti, Gustavo Giovannoni, Marcello Piacentini e Pietro Tricarico. Invece di esprimere un semplice parere, i quattro elaborano una nuova soluzione che accresce ulteriormente le volumetrie e che, con l’avallo della commissione comunale del piano regolatore, e ovviamente del podestà Guido Pesenti, è assunta come definitiva. A nulla erano valse le proteste di 29 architetti, fra i quali Albini, i Bbpr, Bottoni, Figini e Pollini, Gardella, Ponti e Terragni, che in una lettera all’«Ambrosiano» del 17.12.1936 avevano invitato la podesteria ad «affrontare questi problemi seguendo una concezione più vasta, unitaria e definitiva, informandone il pubblico e chiamando a portarvi almeno il contributo di una discussione di quei professionisti che nello studio di tali problemi hanno la loro stessa ragione di vita». A questo confronto la podesteria preferisce l’ingerenza diretta del potere governativo, che assicura uno snellimento delle procedure e soprattutto la massima libertà di manovra a favore delle forze della speculazione. Infatti, solo dopo che sono state ottenute le nuove volumetrie, viene indetto il 2 aprile 1937 un concorso nazionale per la «sistemazione definitiva della piazza del Duomo». L’intento è chiaro: ponendo come riferimento obbligato del concorso la proposta della commissione ministeriale presieduta da Ojetti, la podesteria va alla ricerca della legittimazione del proprio operato da parte delle categorie professionali, e la ottiene in pieno, visto che ben 29 gruppi di ingegneri e architetti accettano di misurarsi su quell’ipotesi già così fortemente connotata.
La planimetria allegata al bando del concorso prevede di portare «quanto più possibile nell’asse della Galleria la strada di accesso alla piazza Diaz, la quale rimarrà notevolmente ampliata dal primitivo progetto con una lunghezza di cento metri e una larghezza di sessanta» (Milano. Per… ,1937, p. 118). Il completamento del lato meridionale di piazza del Duomo è quindi deduttivamente definito dall’assunzione di quella disposizione assiale. Il bando lascia solo una ristretta alternativa fra la possibilità di «sposta[re] semplicemente la testata terminale del palazzo stesso con l’aggiunta di arcate uguali a quelle esistenti, ovvero [di lasciare] inalterato il Palazzo mengoniano attuale ed immaginando un nuovo braccio arretrato di quanto è profondo il portico».
Quanto poi all’edificio pensato per separare la piazzetta Reale dalla via che immette in piazza Diaz, il bando non lascia dubbi: saldata al Palazzo Reale del Piermarini, una loggia-arengario avrebbe dovuto avanzare verso il sagrato ma non oltre il limite fissato dalla linea dei portici meridionali. È previsto che la costruzione ospiti, al piano terreno, una «raccolta storico iconografica della Rivoluzione Fascista», e, al piano nobile, un grande salone per ricevimento. Il fronte verso il Duomo è destinato all’ arengario «propriamente detto», cioè al pulpito per i comizi del Duce.
Nelle intenzioni della commissione, direttamente ispirate e concordate con i vertici del regime, la posizione defilata dell’arengario nella piazza sarebbe stata compensata dall’affiancarsi di quel «balcone» al massimo monumento religioso della città. A questa volontà celebrativa aderiscono senza riserve i progetti presentati alla scadenza del concorso il 30 settembre 1937; tutti puntano infatti a dare forza espressiva a quel semplice balcone da cui avrebbe dovuto parlare la storia. Ma, ponendosi al servizio esclusivo di un intento retorico, l’atto progettuale umilia se stesso: quell’ intento prosciuga ogni altro senso, e l’architettura lascia il posto all’arte dell’addobbo, a vuote scenografie. E quello che accade in modo inequivocabile anche al progetto di Bottoni, Giordani e Pucci, nel quale la loggia arengario, come risulta dai disegni prospettici ambientali con la tecnica del montaggio fotografico, non nesce a scrollarsi di dosso il carattere tipico dei fondali cartapesta usati in quegli stessi anni a Cinecittà. Non a caso per ottenere il risultato retorico-celebrativo gli autori sono costretti a rivolgersi alla storia per ricavare suggestioni e metafore malamente riportate entro i nuovi canoni stilistici. Ne nascono degli ibridi che rasentano il tanto vituperato eclettismo: a un incrocio fra neoclassico e razionalismo è improntata la parte dell’edificio destinata a ospitare il salone d’onore e la Mostra della rivoluzione, mentre le forme semplificate dell’arengario vero e proprio alludono alle parvenze di un fortilizio medioevale. Il muro è chiamato a fare da «grande fondale» al pulpito, mentre quest’ultimo è rimarcato, di profilo, da una passerella che lo collega al salone d’onore e, di fronte, da una iscrizione in rilievo.
Questa architettura tanto rarefatta è a suo modo un documento veritiero. In questo progetto si riflette la disperala volontà di Bottom di attribuire al fascismo un ruolo rivoluzionario e in particolare – come attestano i suoi scritti urbanistici di questo periodo – l’illusione che il regime possa diventare uno Stato m grado di svincolare la costruzione della città dall’ipoteca egoistica della proprietà privata. Il risultato è un progetto da cui traspare come senso dominante lo scarto tra il modello e la brutta copia:
la cartapesta sta alla pietra come la podesteria fascista sta al comune medioevale.
Lo scarto è d’altro canto avvertibile in tutti i progetti presentati al concorso. Le ragioni di questa generale caduta della cultura architettonica ci paiono ben interpretate in un articolo del 1938 di monsignor Giuseppe Polvara direttore della Scuola superiore di arte cristiana “Beato Angelico”: «Quale può essere la ragione di un ennesimo fallimento del concorso per la sistemazione della nostra piazza del Duomo? […] ci siamo convinti che il fallimento deriva direttamente dal non aver dato un tema pratico, una destinazione logica all’architettura che si vuol elevare a inquadrare la piazza per conferirle il senso del raccoglimento. L’arengo è in definitiva un pulpito e, come tale, non può
assumere l’importanza di un edificio monumentale, non può gareggiare e, tanto meno, superare le già eccessive moli dei portici e del Palazzo Reale. E allora il risultato sarà quello di costruire un palazzo per mettervi ad abitare una mosca; non è come una mosca un pulpitino sopra di un’enorme mole architettonica, o alta fino alle stelle o bassa da impietosire, a seconda del punto di ragionamento e del punto di vista dal quale sono partiti i concorrenti? E non sarà stato uno scherzo il progetto che fu definito gabbietta trasparente per l’uccellino? Se non è stato uno scherzo cosciente degli autori, è stato, senz’altro, uno scherzo della razionalità violata» (Polvara, 1938, pp. 94-97).
Non è un caso che queste osservazioni siano precedute su «Arte Cristiana» da due lettere, una del Papa e l’altra dell’arcivescovo di Milano, che suonano come appoggio pieno sia alle critiche avanzate nell’articolo sia alla proposta del Polvara di edificare un battistero sul luogo in cui è prevista la loggia-arengario. La risposta del regime non si fa attendere: con una decisione insieme propagandistica e intimidatoria, dalle pagine del «Popolo d’Italia» il 19 ottobre 1938 viene annunciato l’impegno diretto del Duce a intraprendere immediatamente, in sostituzione dell’arengario, la costruzione del “Campanile del Duomo” sulla base di un progetto dell’architetto Vico Viganò del 1929 una costruzione neogotica alta 164 metri la cui realizzazione avrebbe richiesto l’impiego di 40 mila quintali di ferro e 2.500 metri cubi di marmo di Candoglia. Il messaggio è chiaro: se le autorità ecclesiastiche contendono il luogo all’oratoria del Duce e chiedono un monumento religioso, lo avranno, ma non si tratterà di un modesto battistero bensì di un’opera faraonica in cui ampio spazio è riservato anche alla celebrazione dell’“lmpero”. L’opera sembra dunque proposta per creare problemi di identità alla gerarchia ecclesiastica, e quindi per tacitarne bruscamente le critiche. Sta di fatto che il campanile ritorna rapidamente nel cappello da cui è stato estratto: il ferro va risparmiato per altre imprese, e al suo posto viene realizzato il progetto di Griffini, Magistretti, Muzio e Portaluppi, scelto fra quelli presentati dai quattro gruppi invitati al concorso di secondo grado. Si tratta di un’evidente soluzione di compromesso in cui il pulpito è dissimulato in un terrazzo continuo e reso peraltro meno evidente dalla soluzione simmetrica adottata per la via d’uscita dalla piazza del Duomo verso piazza Diaz.
La soluzione proposta per questo lato della piazza da Bottoni, Giordani e Pucci ha un carattere diverso, se non addirittura opposto, a quello che gli stessi architetti attribuiscono alla loggia-arengario. Alla greve retorica di quest’ultima si contrappone la ricerca della leggerezza nella costruzione pensata come fondale occidentale della piazza.
L’edificio è destinato a ospitare al piano terreno negozi e locali pubblici e ai pian superiori uffici e studi professionali. Il piano terreno è concepito come un crocevia che raccorda mediante gallerie i flussi pedonali diretti in tutte le direzioni, proteggendo però dal via vai la piazza Giovinezza (piazza Mercanti). Un doppio sistema di scale e ascensori consente anche di rendere accessibile mediante un cavalcavia la sala superiore della Loggia dei Mercanti.
Mentre su piazza del Duomo l’edificio si eleva alla stessa linea di gronda degli edifici mengoniani, la sua forma a «C», doppiamente aperta verso sud e verso ovest al di sopra della quota 6,70, consente sia di ottenere a quella quota un cortile (che, essendo pavimentato in vetrocemento, porta luce diretta a parte dei negozi del piano terra) sia di adottare diverse altezze per i fronti su piazza Giovinezza e su Via Orefici. Questi fronti sono anche diversi fra loro nell’evidente intento di trovare specifiche armonizzazioni. Il fronte verso il Duomo, disposto assialmente rispetto alla facciata della cattedrale – lo specificano gli autori nelle esaurienti descrizioni delle tavole – è concepito come un grande portale contenente un telaio staccato dalla facciata «a due ordini, corrispondenti ai grandi marcapiani dei palazzi del Mengoni. Telaio che ha anche funzione di protezione ed ombreggiamento della grande vetrata in corrispondenza del piano nobile e dei piani sovrapposti. Il portale inoltre determina nella parte alta terminale un forte chiaroscuro che vuole richiamare quello dato dal cornicione mengoniano». I balconi, posti scandire il ritmo, segnalano il piano nobile.
Sul fronte verso via Orefici «Il corpo del fabbricato in corrispondenza della corte viene soppresso agli ultimi piani, mantenendo dei collegamenti a veranda che servono a dare unità all’architettura della facciata».
Infine, per il fronte su piazza Giovinezza, ai progettisti «è parso opportuno limitare l’altezza dell’edificio, dimensionandola con quella degli edifici prospicienti la piazza. L’angolo della piazza in corrispondenza del passaggio [verso] via Mercanti è immaginato chiuso dalla parte terminale dell’edificio con una testata a tutto pieno quasi a formare torre».
La notevole diversità dei fronti non cade in questo caso nella retorica storicistica come accade invece per il progetto della loggia-arengario, qui l’architettura, non soggiogata dall’intento monumentale, si fa rispettosa dei luoghi, segnando una svolta importante: l’attenzione all’identità storica, pressoché del tutto trascurata nel progetto per via Roma a Bologna diviene un elemento fondativo di questa parte del progetto.

Giancarlo Consonni

In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 265-268.

  1. Comune di Milano. Bando di concorso per il progetto di sistemazione definitiva della piazza del Duomo, 2 aprile 1937. Stampato con annotazioni manoscritte, 1 c./4 p.
  2. Ricorso degli architetti Bottoni, Carminati, Giordani, Liva, Marchetti di Montestrutto, Mazzoleni, Pucci, Mezzanotte, Varlonga, Zanotta al Sindacato regionale fascista architetti di Milano circa la regolarità delle procedure concorsuali, Milano 30 gennaio 1938. Dattiloscritto, 4 cc./3 pp.
  3. Idem, bozza incompleta. Dattiloscritto, 4 cc./3 pp.
  4. Lettera di trasmissione ricorso, allegato al documento descritto al punto precedente. Dattiloscritto, 1 c./1 p.
  5. Concorso per la sistemazione definitiva della piazza Duomo. Fotografie con didascalie esplicative del progetto incollate su cartoncini contenuti in raccoglitore, 36 tavv. Documento fuori formato.
  6. Didascalie delle tavole di progetto per i pannelli espositivi. Stampato, 17 cc.

a cura di Giancarlo Consonni

  • Piazza Duomo e piazza Diaz. Una lettera degli architetti, in «L’Ambrosiano», 17.12.1936.
  • La sistemazione di Piazza del Duomo, in «Il Popolo d’Italia», 9.1.1937.
  • G. Pagano, Ed ora attendiamo il concorso nazionale, ivi, 14.1.1937.
  • Dove sorgerà l’Arengario. Una variante al piano regolatore, ivi, 24.1.1937.
  • L’assetto di Piazza del Duomo nella soluzione definitiva, ivi, 27.1.1937.
  • Comune di Milano. Bando di concorso per il progetto di sistemazione definitiva della Piazza del Duomo, 2.4.1937.
  • Milano. Per la definitiva sistemazione di piazza del Duomo, in «Urbanistica», a. VI, n. 2, marzo-aprile 1937, pp. 118-119.
  • V. Costantini, Tra i progetti esposti molti particolari interessanti ma nessuna soluzione accettabile, in «Corriere della Sera», 28.1.1938.
  • G. Polvara, Considerazioni sull’ultimo concorso per la sistemazione di piazza del Duomo a Milano, in «Arte Cristiana», a. XXVI, n. 4, aprile 1938, pp. 90-99.
  • F. Reggiori, Milano 1800-1943. Itinerario urbanistico-edilizio, Edizioni del Milione, Milano 1947, pp. 138-152.
  • G. Consonni, L. Meneghetti, L. Patetta, Piero Bottoni. Quarant’anni di battaglie per l’architettura, numero monografico di «Controspazio», a. V, n. 4, ottobre 1973, p. 35.

Archivio Piero Bottoni

DAStU - Politecnico di Milano

Campus Bovisa
Via Giuseppe Candiani, 72
20158 Milano

t +39 02 2399 5827

archivio-bottoni-dastu@polimi.it